Gimme Hope Jo’anna - Eddy Grant (1988)

Negli ultimi giorni di gennaio del 1988, una melodia incalzante e irresistibile iniziò a scalare le classifiche musicali di molti paesi. Si trattava di "Gimme Hope Jo’anna" di Eddy Grant, una canzone che non solo coinvolgeva con il suo ritmo travolgente, ma trasmetteva anche un messaggio di forte denuncia politica.

Eddy Grant, inglese nato in Guyana, aveva visitato l'Africa e ciò che vide cambiò la sua vita. Il brano era una richiesta esplicita di speranza e libertà rivolta alla città di Johannesburg, simbolo del regime dell'apartheid che dominava la Repubblica Sudafricana. Jo’anna non era una donna, bensì Johannesburg, rappresentativa di un sistema politico oppressivo che aveva ridotto in schiavitù le popolazioni native per preservare i privilegi dei discendenti di inglesi e olandesi.

Il 1988 fu un anno di grande tensione in Sudafrica. Il presidente Piet Botha era uno degli ultimi e più tenaci sostenitori dell'apartheid, convinto che questo sistema fosse il motore del progresso e della ricchezza del paese. Tuttavia, la realtà era ben diversa. Il paese era diviso in quattro province ricche e sviluppate abitate dai bianchi, mentre dieci zone, chiamate con disprezzo "bantustan", erano riservate alle etnie native. Questi territori, formalmente autonomi, erano in realtà sotto il controllo ferreo del governo sudafricano e nessun altro stato li riconosceva come indipendenti.

Nel suo viaggio, Eddy Grant vide da vicino le ingiustizie di questo sistema. Visitò Soweto, un sobborgo di Johannesburg riservato agli africani neri, teatro di violente proteste e repressioni sanguinose. Ricordò il massacro del 1976, quando la polizia aprì il fuoco su un corteo di studenti che protestavano contro l'imposizione dell'afrikaans nelle scuole, uccidendo centinaia di giovani.

La canzone menziona anche altre città simbolo come Durban e il Transvaal, e denuncia il lusso ipocrita di Sun City, un mega resort costruito dall'élite bianca nel territorio del Bophuthatswana. Sun City era diventato sinonimo di corruzione e sfarzo, un paradiso per il gioco d'azzardo e le ballerine in topless, proibiti nelle province bianche ma tollerati in questa "Las Vegas" africana.

La denuncia di Eddy Grant è esplicita e potente. Cita l'arcivescovo Desmond Tutu, premio Nobel per la pace e figura chiave nella lotta contro l'apartheid, definendolo "l'arcivescovo che è un uomo pacifico". La sua canzone non è una supplica disperata, ma un grido di speranza, una convinzione che il cambiamento era già in atto e che le popolazioni native avrebbero presto riacquistato i loro diritti.

Eddy non dovette attendere molto per vedere il cambiamento. Nell'agosto del 1989, Piet Botha lasciò la presidenza a Frederik de Klerk, il quale avviò le riforme necessarie per porre fine all'apartheid. Liberò Nelson Mandela, riabilitò l'African National Congress e organizzò le prime elezioni libere. Nel 1993, Mandela e de Klerk vinsero insieme il premio Nobel per la pace e, nel 1994, Mandela divenne presidente del Sudafrica con de Klerk come vicepresidente.

La speranza cantata da Eddy Grant per Jo’anna si era realizzata in pochi anni. La città di Johannesburg, simbolo della repressione e dell'ingiustizia, iniziava finalmente a vedere la luce della libertà e dell'uguaglianza. La canzone "Gimme Hope Jo’anna" rimase un inno di speranza e resistenza, un testimone musicale di una lotta che aveva finalmente trovato il suo giusto epilogo.

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