Hanno ucciso l'uomo ragno - 883 (vs. Juke-box 1992)

Correva l’anno 1992, un periodo in cui l’Italia stava vivendo una trasformazione culturale e musicale significativa. In questo contesto, un duo musicale destinato a diventare una delle icone del pop italiano fece il suo ingresso sulla scena: gli 883, formati da Max Pezzali e Mauro Repetto. Con il loro stile fresco, ironico e accessibile, conquistarono rapidamente il cuore di un’intera generazione. Ma c’è un brano in particolare che segnò l’inizio di questa straordinaria avventura musicale: "Hanno ucciso l'Uomo Ragno".

"Hanno ucciso l'Uomo Ragno" non è solo il singolo apripista dell’omonimo album, ma anche il pezzo che ha dato il via al successo del duo. Una canzone che, ancora oggi, risuona nelle radio e nei concerti di Max Pezzali, simbolo di un’epoca e di una generazione. Ma da dove nasce questa canzone? Qual è la storia dietro le parole che hanno fatto cantare e sognare migliaia di ragazzi negli anni '90?

La storia di questo brano affonda le sue radici in un contratto discografico piuttosto stringente. Max Pezzali e Mauro Repetto avevano firmato con la Warner Chappell, un accordo che, sebbene offrisse scarse ricompense economiche, li obbligava a scrivere dodici pezzi all’anno. Un compito arduo, soprattutto quando la creatività non sembra fluire come si vorrebbe. Eppure, proprio da questa pressione, nacque l’idea geniale.

Pezzali racconta che in quel periodo il supereroe Marvel Uomo Ragno non godeva di grande popolarità in Italia. Era lontano dall’essere un eroe ricco e potente come Batman o Ironman, era piuttosto un “poveraccio”, un precario, come lo definirebbe oggi. La sua figura rappresentava una sorta di anti-eroe, qualcuno con cui era facile immedesimarsi, soprattutto per quei ragazzi che, come Max e Mauro, sentivano il peso delle aspettative e delle responsabilità del mondo adulto che stava prendendo il posto della spensieratezza adolescenziale.

L’idea di “uccidere” l’Uomo Ragno, simbolo di quella purezza e ingenuità adolescenziale, si materializzò quasi per caso. Max Pezzali ricorda con ironia il pomeriggio trascorso al “Bar del Turista” a Pavia, dove lui e Mauro cercavano disperatamente l’ispirazione. Dopo aver consumato un panino piccante a base di pancetta e tabasco, si ritrovarono senza idee, frustrati dal mancato arrivo della scintilla creativa. Ma, come spesso accade, l’ispirazione giunse nei momenti più inaspettati. Tornato a casa, Max si sedette a tavola dove lo attendeva un piatto di minestrone preparato dalla madre. Fu allora, tra i fumi del tabasco e il calore della zuppa, che la frase iconica si fece strada nella sua mente: “Hanno ucciso l’Uomo Ragno, chi sia stato non si sa”.

Da quel momento, la canzone prese vita quasi da sola, strofa dopo strofa, come se fosse già scritta da qualche parte nell’inconscio e aspettasse solo di essere rivelata. Quello che sembrava un semplice esperimento, un tentativo tra i tanti, si trasformò in un vero e proprio fenomeno. Due anni dopo, la canzone portò agli 883 un successo incredibile, consacrandoli come il gruppo simbolo di quegli anni.

Ma “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” non è solo una canzone di successo. È un manifesto generazionale, una riflessione sull’adolescenza che viene spazzata via dalle responsabilità e dalle disillusioni del mondo adulto. Eppure, come Max Pezzali ama pensare, forse l’Uomo Ragno non è morto per davvero. Forse è ancora là fuori, in qualche angolo nascosto, a coltivare i suoi sogni e le sue chimere, rappresentando la speranza che, nonostante tutto, una parte di quella purezza possa sopravvivere.

Oggi, a più di trent’anni di distanza, “Hanno ucciso l’Uomo Ragno” continua a far cantare e riflettere, dimostrando che i veri miti, proprio come i supereroi, non muoiono mai del tutto.

Commenti

Post più popolari